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2008-01-13

La Festa del Silenzio

Apprendo da Donna di Repubblica, nella rubrica di Concita De Gregorio, che esiste la Giornata Mondiale della Lentezza, promosso dall’associazione culturale “Vivere con Lentezza”. La data è il 25 febbraio e dura tre giorni. Interessante, direi. Ovviamente aderisco, a nome di tutti i pigri del mondo.
Ma chissà perché, mentre leggevo, ho avuto l’illuminazione di una Festa del Silenzio. Lo so, è un ossimoro. Di per sé, non c’è festa che sia silenziosa (sennò che festa è?). Eppure, credo che se per festa si intende gioia, a vivere ogni tanto il silenzio ne saremmo riempiti. Ma è la cosa più faticosa del mondo. Addirittura per il Dio di Giovanni, che fissa il principio di ogni cosa nel Verbo. In ogni caso, sarebbe una sfida per qualsiasi organizzatore. Parlare del silenzio, è già romperlo. Stare in centinaia di persone in un posto, seppure zitti, è rumore. Come si potrebbe fare, una Festa del Silenzio? Forse non facendola, innanzitutto. Si, organizzarla, fare l’allestimento, la comunicazione, e poi lasciare vuoto lo spazio adibito, non far trovare niente. Una cosa alla Maurizio Cattelan, lo riconosco. Ma se presa con lo spirito giusto, ammutolirebbe tutti, e farebbe nascere un germe di riflessione. Ma anche la riflessione è rompere il silenzio, come ci insegnano le discipline orientali.
Siamo punto e accapo. Altrimenti l’unico modo è dichiararne l’impossibilità teorica, ma fare lo stesso la Festa ribaltando le regole comuni. Che tutti stiano zitti, e parlino solo coloro che non hanno di solito voce. Dai monaci ai portatori di handicap, dai poveri ai bambini, dai carcerati ai malati mentali. Gli “ultimi”, insomma. State sicuri che avrebbero il silenzio assoluto di tutti. Nessuno verrebbe ad ascoltarli, i media non ne parlerebbero. Perché “ridurre al silenzio” gli scomodi è da sempre l’arma del Potere, in ogni sua forma, dalle corporation all'ultimo impiegato che fa finta di non sentire, me compreso. No, non si può fare la Festa del Silenzio, ci sono silenzi che non si possono festeggiare, come i tanti di cui siamo colpevoli.

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