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2009-03-27

Omini che dipingono omini

Assistiamo continuamente ad un alternarsi di valutazioni intorno all’industria e all’artigianato. Per molto tempo, è sembrato che l’oggetto fatto in maniera industriale avesse un valore superiore indiscusso, perché più scientifico, razionale, standardizzato di uno fatto a mano, con in più, un costo inferiore che lo rendeva “democratico” in quanto acquisibile da una maggior platea di consumatori.
Di fianco a questa scuola di pensiero è sopravvissuta e anche preso forza quella che ri-valutava il lavoro artigiano, per ragioni se vogliamo speculari a quelle appena illustrate: un artigiano spesso lavora meglio, ha più controllo sul pezzo, ha una elasticità concettuale che una macchina non può avere e inoltre rende più “unici” gli oggetti, anche quando sembrano identici, proprio perché c’è la componente umana variabile in ogni lavoro. Perdonate il discorso tagliato con l’ascia, ma è giusto per illustrare il pendolo che oscilla dall’Ottocento circa in poi.

In quest’ottica, attira la mia attenzione la pubblicità di un’iniziativa di Panorama sul subbuteo. Nello specifico, l’immagine del giocatore di plastica sotto cui è scritto “dipinto a mano”. Di solito tale dicitura vuole dare o accrescere valore all’oggetto (e spesso lo fa effettivamente). Ma bisognerebbe stare attenti, perché addirittura può essere controproducente. Mi spiego. Per me, tale pratica manuale ha valore solo quando non può essere fatta a macchina, o quando consente una qualità non altrimenti raggiungibile da una macchina. Levigare una lastra faticosamente a mano dove potrebbe una veloce levigatrice industriale, dipingere i manifesti dei film a mano come in India dove andrebbe bene anche le stampe offset, usare un risciò per andare a prendere un treno invece di un taxi, raccogliere il grano a mano piuttosto che con opportuni trattori, non ha molto senso. Ha senso far dipingere la Cappella Sistina a Michelangelo, o far creare le spade secondo le tecniche millenarie degli artigiani giapponesi, oppure farsi massaggiare da esperti operatori. E potrei fare tanti altri esempi sia in un senso che in un altro.

Invece, chiamare un uomo a un lavoro che può fare tranquillamente una macchina a me suona tanto alienante e un tantino sfruttatorio. Perché già lo immagino, un omino a fare per otto ore al giorno la stessa manica e lo stesso pantaloncino, senza che questa operazione sia artistica o aggiunga pregio. L’uomo ha inventato le macchine per quel tipo di lavoro, per liberarsi da quelle operazioni noiose e ripetitive che un mucchio di ferro ben congegnato avrebbero potuto fare meglio se non uguale, con minor fatica. Per giocatori di subbuteo da vendere in grandi quantità in edicola, poi...mica stiamo parlando dei pastori da presepe di San Gregorio Armeno!

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