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2009-02-19

Pd, é tutto un reality show

Trent’anni di tv commerciale e “commercializzata” e 10 anni di reality non sono passati invano. Non solo su quella parte di popolazione più apolitica e meno “acculturata”, che fa della tv spesso l’unica fonte di informazione e svago. Ha colpito e modellato anche i tanti che si credevano immuni perché fruitori di altri media (giornali, libri, internet), quella classe media riflessiva che è il nerbo del centrosinistra.
Basta vedere come è stato vissuto il PD (ma si potrebbe risalire ad anni ancora precedenti). Di fronte a un ceto politico immutabile e chiuso nel loft come nella Casa del Grande Fratello, si è scatenato in elettori e simpatizzanti un atteggiamento voyeristico di tipo “pernacchioso”, con punte di sadismo da invidia sociale, tipico di reality come l’Isola dei Famosi e la Fattoria. Ora che si è dimesso Veltroni, si assiste ad un gigantesco X-Factor, con la ricerca del candidato col fattore X (quello è più soul alla Obama, quello è più pop alla Blair, quello è più rock alla Zapatero), cui si stanno dedicando opposte tifoserie di fans.
Non bisogna essere troppo anziani per ricordare un ben diverso atteggiamento verso i propri leaders di partito, che si chiamassero Berlinguer, Craxi, Moro o Andreotti. Si potrebbe dire: altri uomini. Ma era diverso anche il clima. Ricordo i malumori e le polemiche nel PCI e nella base, quando Alessandro Natta, uno dei suoi ultimi - e forse il più anonimo - dei segretari, fu fatto oggetto di lazzi da parte dei vignettisti di Tango, inserto satirico dell’Unità.
Si può dire che la caduta del muro di Berlino non abbia fatto sparire solo le ideologie ma anche una forma di militanza e di approccio alla politica. Berlusconi lo capì prima di tutti: finite le Chiese politiche del Novecento, non c’erano più fedeli in campo, ma spettatori, di cui conquistare il televoto.

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