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2008-12-21

Un uomo chiamato Copertone

Trovo un vecchio ritaglio di giornale sugli arresti compiuti nel clan dei Casalesi. In tutta la retorica da film di Scorsese cui si abbandonano i cronisti, mi incuriosisce il soprannome del cassiere del clan: Copertone. Un breve accenno lo spiega con la mansione a lui affidata di cospargere di copertoni incendiati i cadaveri delle vittime del clan.
Che scontro di luoghi comuni. Perché la mafia è sempre stata vista in due modi: la mafia imprenditoriale, che non si fatica ad immaginarla tutta cravatte e valigette, che trova sempre una poltrona negli uffici in legno pregiato di politici e banchieri. E poi la mafia sanguinaria, di quella capace di strappare il cuore alla vittima per morderlo come Pasquale Barra, detto ‘o animale, a Francis Turatello.
Copertone, secondo me, realizza il quadro più veritiero, asciugato da ogni aura di mito, del mafioso: un essere che passa senza soluzione di continuità dai codici IBAN ai bidoni di acido, e la mafia un'impresa in cui nessun master in economia può salvare nessuno dalla cruda realtà su cui si fonda il potere del clan: la violenza, l'assassinio, il sangue. I milioni che consegnano nella più linda delle banche hanno sempre l'odore della gomma bruciata.

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