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2008-04-23

La gara del membro (arbitra professoressa da Sant'Antimo)

Diciamoci la verità: abbiamo creduto per tanto tempo che le professoresse hot fossero un mero espediente narrativo per quei film pecorecci degli anni a cavallo tra Settanta e Ottanta, successivamente etichettati come “commedia sexy all’italiana”. Nell’esperienza quotidiana, sulle cattedre transitava un continuo corteo di befane, suore, zitellone, e a nulla serviva che fossero spesso di sinistra: i costumi sessuali erano ispirati a Nilde Iotti, più che a Maria Schneider. Poi i tempi son cambiati, il sesso è uscito dagli anfratti malaticci di camere e camerette, e da peperoncino è diventato origano, se pure Striscia la Notizia "infila" la telecamera bassa nelle terga delle veline come un porno qualsiasi. Ciò che si credeva fantascienza oggi è cronaca.
Perciò, la notizia di un’insegnante sorpresa con alunni intenti ad una gara di misura dei propri membri procura solo una reminescenza cinefila, in prima battuta, e personale un attimo dopo, perché ogni maschietto ragazzino, dalla notte dei tempi, si è misurato il pene. A dita, a centimetri, a spanna (giusto qualcuno). Col righello, con un filo di lana, con la penna. Da sopra, da sotto, dal lato. E sarebbe stupido negare ogni confronto con gli amichetti: per ovvio spirito competitivo, ma soprattutto per capire e capirsi. Non si è più nell’età del gioco del “perché” con mamma, e papà è sempre l’ordine, la disciplina, aspetterà che ti spunti la barba sul viso, per certi discorsi. Con le sorelle poi, quasi tutto è tabù e i fratelli maggiori, noti massacratori d’autostima, godono già solo a farti notare ogni giorno quanto sei basso, figurarsi chiamati ad esprimere pareri su un aspetto così delicato. Quell’età è la terra di mezzo, il tempo di nessuno, e il mestiere di pre-adolescente è duro, sempre in balia dello specchio deformante di coetanei e amichetti un attimo più grandi, e alle domande nuove che sorgono occorre arrangiare la risposta.
Dunque non sorprende la gara, è faccenda eterna, né la professoressa come arbitro, è faccenda recente ma già metabolizzata. E neppure sorprende che non si parli di pedofilia. Immaginate se fosse stato scoperto un insegnante con ragazzine di 12 e 13 anni in atteggiamenti simili. Lo avrebbero come minimo linciato. Ma, se la “vittima” è un maschietto, scatta solo la reminescenza, si pensa “ai miei tempi, invece, era un continuo corteo di befane, suore, zitellone..”. Il tempo ha da lavorare ancora, su concezioni dure a morire (a cominciare da me). A cosa tuttavia appendere questo senso (residuale?) di disagio che pure si prova di fronte ad un tal evento? Alla facezia, naturalmente. Appenderlo per esempio a Mediavideo, che nel testo della notizia recita: “ (…) denunciati per reati sessuali, dopo essere stati sorpresi in un’aula mentre erano intenti a mostrare i loro organi sessuali per stabilire chi ce l’aveva più lungo”. Sorvolo sul pronome abusato e sul congiuntivo dimenticato, per chiedere: “Ce l’aveva più lungo”? Al bando ogni cautela terminologica fin qui osservata, devo sbottare: ma come cazzo scrivi?! Manco un virgolettato che simuli una citazione. Va bene che l’argomento è pecoreccio, ma s’immagina un giornalista a scrivere, non il ragazzino del righello, e si possono usare termini più appropriati, locuzioni più garbate. Conserviamo almeno uno straccio di forma, a questo mondo cane. Pardon, pecora.

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