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2008-03-22

Se l’avidità distrugge il libero mercato, pazienza, ma la mozzarella no!

Nella lettura dei giornali della settimana che si chiude mi si è delineato agli occhi come un filo rosso.
Tutto è iniziato lunedì con il bell’articolo a firma di Marco Panara su Affari&Finanza di Repubblica, dal titolo “L’avidità è nemica del libero mercato”. L’articolo spiega come la crisi dei mercati sia legata non tanto all’avidità individuale quanto ad un’avidità istituzionalizzata, dove “la finanziarizzazione dell’economia e del credito hanno istituzionalizzato e industrializzato un sistema nel quale il reddito di breve periodo conta e vale di più della reputazione, di più della costruzione o della creazione di qualcosa. Vale in sé, è la chiave del successo sociale e, nel breve periodo, del successo – almeno borsistico – dell’impresa”.
Per il giornalista, l’ansia del risultato a breve è dovuta all’avidità d’investitori che vogliono rendimenti sempre maggiori e sempre più a breve, e possono essere accontentati solo innescando processi di spoliazione che mettono a rischio la stabilità sociale da un lato, e l’economia stessa di mercato, perché la risposta all’eccesso di “libertà” è l’iper-regolamentazione e i nazionalismi, il contrario del libero mercato.
Un articolo del genere contribuisce, insieme all’esperienza quotidiana, a demolire la fiducia nella razionalità dell’uomo economico, che spesso non capisce ciò che in Natura alcuni parassiti minuscoli ma più intelligenti hanno compreso: alla base della propria sopravvivenza, c’è la sopravvivenza del corpo parassitato. Se ti prende l’avidità e inizi a succhiare l’impossibile, muore il corpo parassitato e tu con lui. In quest’ottica leggo le notizie relative alla ribellione dell’imprenditoria siciliana al pizzo della mafia, che gli inquirenti ritengono dovuto a un “cambio di clima”. Anche qui, il parassita voleva spremere talmente tanta linfa dal corpo parassitato (l’impresa) che quest’ultimo ha dovuto decidere se ribellarsi al parassita o morire. Pare infatti che il clan di Lo Piccolo avesse deciso una fortissima spremitura, e non solo: imponeva ai negozi l’assunzione delle proprie amanti. Oltre al danno economico della tangente, la beffa di avere ogni giorno in azienda un’intoccabile cui magari non si poteva chiedere manco di spostare uno scatolo. Così pure la camorra impegnata nel traffico dei rifiuti in Campania: per un enorme guadagno a breve termine ha inquinato irrimediabilmente il proprio territorio, senza comprendere le conseguenze sul lungo periodo della propria avidità: un impoverimento strutturale di quell’economia campana che pure nutre la camorra stessa in altre attività. Se non c’è turismo, commercio, investimenti, non funzionano nemmeno gli alberghi, i negozi, i ristoranti, le aziende della camorra. Se distruggi un mito gastronomico mondiale come la mozzarella (e uno di Battipaglia come me chiede vendetta a Dio), o le tante colture d’eccellenza, seghi il ramo su cui sei seduto.
Ma non bisogna credere che l’avidità disfunzionale sia solo caratteristica dei criminali. Anche aziende serie e gigantesche possono incorrere in gravi errori di calcolo delle proprie azioni. E’ di oggi, infatti, l’articolo di Repubblica sulla guerra in America tra dirigenza e lavoratori di Starbucks e dei Casinò sulla mancia che i clienti lasciano ai baristi e croupier (molti soldi, in America la mancia è obbligatoria e non è mai inferiore al 10% della consumazione, e spesso rappresenta il guadagno primario per i dipendenti, più dello stesso stipendio, di solito al minimo sindacale). Per i proprietari, le mance appartengono all’azienda. L’avidità anche qui si è mostrata controproducente: Starbucks è stata condannata a restituire 106 milioni di dollari di mance a 120mila baristi, i Casinò stanno in causa, ma hanno provocato forse qualcosa peggiore di un rimborso (almeno in America), cioè la sindacalizzazione dei croupier, col rischio che le rivendicazioni si estendano ad altri ambiti come permessi e malattia.
C’è davvero da interrogarsi molto sul tema. Di sicuro l’avidità umana non è eliminabile e in piccola dose è perfino auspicabile, ma occorre che si producano degli antidoti affinché non diventi sistemica al punto da distruggere il sistema stesso. Chissà che non ci salvi quel famoso scontro di civiltà, in cui tutti facciamo sempre il tifo per la civiltà occidentale tanto superiore ed evoluta contro una specie di Medioevo, salvo scoprire che c’è una finanza “islamicamente corretta” che consente di aderire solo ad investimenti reali e mai speculativi, vieta il guadagno sui soldi prestati (l’interesse) e sulla mancanza di informazione altrui (quindi non si possono vendere merci che non si hanno, fornire false informazioni, ecc). Eppure, è una finanza che fa comunque affari di notevole volume, ma non mina il sistema dall’interno, ed è forse per questo che i suoi strumenti finanziari trovano sempre maggiore interesse in Europa a cominciare da Svizzera e Gran Bretagna. Inutile dire che l’Italia, al riguardo, è ferma al palo.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Ma sei stato impossessato da Freeman?(ex.ab.)

Anonimo ha detto...

Errata corrige:no Freeman,ma Friedman.(ex.ab.)

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