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2008-03-13

Piove, Thyssen ladra (e i giornali no?)

Si sa l'amore/odio che provo per i titolisti dei giornali. Poveri uomini, debbono sintetizzare in poche righe tutto un mondo di sfumature, una funzione che li rende così simili ai politici, a pensarci. Sono emblemi di una civiltà che ormai predilige gli spot, gli slogan, le frasi secche, perché il lettore/spettatore ha fretta, non ha tempo né voglia di annoiarsi a distinguere e approfondire. Ecco dunque la grande responsabilità di un titolista, che magari con il semplice titolo quel giorno avrà formato l'opinione su una faccenda ai tanti che sbirciano i giornali in edicola, sui tram, al bar, senza poi usufruire di un qualsiasi strumento d'approfondimento (la tv non è quasi mai tale). Difficile mestiere diventa allora camminare sul filo della "corrispondenza" tra titolo e testo. Perlopiù ci si riesce, a volte si cade, come col titolo apparso stamani su Repubblica, nella parte bassa della prima pagina. Il titolo è: "Luigi, 39 anni, precario / ottava vittima della Thyssen". L'occhiello recita: "Suicida per l'assunzione mancata in un'azienda del gruppo".
Ora, non posso essere certo sospettato di simpatia per le aziende, men che meno per una che risparmia sui sistemi di sicurezza, ma imputare alla Thyssen un dramma del genere, e legarlo alla tragedia del rogo, lo trovo sommamente scorretto. Tra l'altro nel pezzo é usato opportunamente il virgolettato quando si parla di ottava vittima (a sottolineare l'uso di una licenza), e si chiarisce che l'operaio "non ha mai lavorato nella fabbrica della morte". E allora perché tirarcela coi capelli, in quella triste storia? Perché mancare di rispetto innanzi tutto al suicida, usandolo per fare un titolo e un pezzo più "vendibile" all'opinione pubblica, forte del richiamo mediatico che ebbe ed ha ancora il rogo nella fabbrica torinese? Forse che se fosse successo in un'altra azienda il dramma di un uomo che si sente perso senza lavoro sarebbe meno interessante, non da prima pagina?
Dunque quel titolo fa un doppio errore. Innanzi tutto imputa ad un'azienda la colpa per un tragedia che ha radice tutta nel mondo interiore, speciale e unico di uomo in uomo, perché speciale e unica è la reazione di ognuno ai dolori della vita, alle difficoltà oserei dire "normali", come perdere un lavoro, essere lasciati dall'amore, avere un lutto in famiglia. In più forza la tragedia a proprio uso e consumo, la "spettacolarizza" con un richiamo - basato su un collegamento societario - al grande "mostro" mediatico che oggi è l'azienda tedesca, perciò di facile presa.
Si lascino in pace i morti, per favore.

1 commenti:

Crocco1830 ha detto...

Sono d'accordo con te. Quella morte non è legata direttamente alla Thyssenkrupp. Direi invece che è legata ad un mercato del lavoro che precarizza le vite. Ma dire questo, per un giornale, è molto più difficile. Ciao!

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