Il budello dei tempi

Cavolo, quanto odio il verbo “pariare” e le sue sostantivazioni. Lo imparai nell’infanzia, usato esclusivamente nel gioco “un’ ‘mbond a lun”, una specie di cavallina, in cui bisognava scavalcare il penitente piegato in avanti, senza sfiorarlo e declamando formule di rito. La sequenza era: “14 Na fetta e pan e salame – 15 La mangiai – 16 La pariai”. Che stava ad indicare: la digerii.
Per lungo tempo l’ho dimenticato, finché da qualche tempo il vocabolo non è stato dissepolto e reinterpretato da un certo napoletanismo plebeo che ne ha fatto stella polare del proprio stare al mondo, e sdoganato da personaggi non sospetti del mondo delle arti. “Pariare”, “pariamiento”, specie se pronunciati a bocca larga e intonazione volgare, quasi onomatopea (pariàààà) della scoreggia, son diventati termini di tale uso comune, almeno al Sud, che non mi meraviglierei la usasse anche Napolitano in un discorso (“l’Italia non è in declino, ma ha bisogno di cambiamento e, se mi consentite un termine caro ai miei concittadini, l’Italia ha bisogno anche di pariamiento”).
Ora l’espressione ha assunto il significato di divertirsi, ma non ha perso l’attinenza con la pancia, perché indica un divertimento crasso, di intestino…di budello direi, spesso, più o meno palesemente, a spese di qualcuno meglio se debole. È uno slittamento di baricentro corporeo emblematico dei tempi: dalla testa, dal cuore, persino dal pene, al culo.
Del resto, c’è una logica ed ogni cosa si tiene: ha dato nuovo frutto la pianta malsana di quella celebrazione del trash operata da un’intellettualità “liquida”, atterrita di sembrare antica e pallosa, in vena di brividi popolareschi ma ben al riparo delle proprie buone letture, che alla fine degli anni 90 hanno creduto di divertirsi a inscenare una specie di “cena dei cretini” culturale, salvo il fatto che ora i cretini “hanna pariààà”, e cagano sulla tavola.