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2007-07-18

La liberazione del proletariato

Ieri ho assistito per la prima volta in vita mia, con curiosità più antropologica che politica, ad un Consiglio Comunale. E la cosa che mi è balzata subito agli occhi è stata l'omogeneità assoluta tra l'aliqua e l'aldilà della transenna che divideva il Consiglio dagli spettatori. L'Assemblea è ciò che il popolo è. Credo persino in termini statistici, i due fronti si rispecchiavano. E svolgere un Consiglio Comunale in quelle condizioni da gabbia per topi è stato l'ulteriore conferma del tacito accordo d'indifferenza tra potere e cittadini che da 30 anni segna l'Italia e il Sud.
Un popolo chiassoso, che è venuto con gli zoccoli ai piedi e le ascelle fetenti, che sale in piedi sulle sedie, fuma al chiuso, alza la voce sul consigliere che parla, non è migliore di consiglieri comunali venuti in maniche corte come se fossero appena tornati dal mare, chiassosi essi stessi, senza un minimo di preparazione giuridica e nonostante questo, arroganti nella loro ignoranza, senza umiltà, che credono di sapere la ragione riguardo leggi su cui persino la Corte Costituzionale ha dei dubbi. Devo confessare, spento il breve sorriso da collezionista che trova nuove e gustose farfalle da spillare all'album, sono andato via un pò scoraggiato, vivamente combattuto tra il mio essere un soggettivista morale (o come direbbe Ratzinger, un relativista etico), "secondo cui nessuna azione è 'dì per sé' lodevole o sbagliata, così come nessuna azione è 'di per sé' un segno di educazione o di maleducazione: possiede queste qualità soltanto perché la trattiamo come se le avesse" (Michael Dummett) e il rimpiangere un bon-ton da fine Ottocento di nobiluomini baffuti e col panciotto che mai avrebbero alzato la voce se non per avvertire la gente di scostarsi al loro passaggio sul biciclo (i freni erano un'invenzione recente, da perfezionare).
Ma è la modernità, bellezza, che, parafrasando Mao Tse Tung, non è un pranzo di gala: ci ha dato tanto e ci ha tolto tanto, tra cui una sinistra che indicava la liberazione del proletariato a partire innanzitutto dai suoi pigri vizi, sostituita da certa sinistra che forse, per il riflesso condizionato del popolo "motore della storia", o per stare al cosiddetto "passo dei tempi", o per un gusto del paradosso e della provocazione supersnob (ah, i sorrisini di Fabio Fazio, tipici del secchione furbetto che prende in giro l'ultimo della classe iperelogiandolo) ha creduto di farsi un bagno di modernità nella fogna. Sdoganati il trash, la parolaccia, la bestemmia, la scoreggia, detto che I Cugini di Campagna equivalgono a Mozart, chiamato Maestro quell'onesto artigiano della canzone di Al Bano, creduto folklore agitare il cappio in Parlamento, ci meravigliamo poi se la plebe, quella vera, quella che ha il copyright su tanti gesti e gusti, rivendica non solo la sua fetta di mondo, ma di deciderne il taglio? Abbiamo picconato, magari con buone intenzioni, quello che la sociologia chiama stigma su comportamenti sociali riprorevoli, sguarnendo la guardia: senza pena non c'è delitto o altrimenti detto (da Dostoevskij) "senza un Dio tutto è permesso". Ora, non dico un Dio (son sempre un relativista etico) ma almeno un vigile urbano!
Possiamo dunque dire che la liberazione del proletariato tanto inseguita dalla sinistra nel Novecento é avvenuta: il popolo si è inclinato su un fianco, ha alzato la gambetta e si è liberato.

1 commenti:

Prepuzio ha detto...

Bell'articolo.

In effetti, siamo di certo più liberi, ma la società richiede forme di rispetto che, anche se sanno d'antico, sono ancora molto utili.

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