Sono particolarmente ghiotto di aneddoti su di me. Specie di quelli relativi alla mia primissima infanzia, dove non arriva il ricordo diretto. É come se ancora cercassi risposte a tante cose, e potessi trovarle in episodi lontani, persi alla memoria come pezzi di puzzle sotto al letto – e perciò il quadro non quadra mai. Del resto, non c’è da scomodare la psicanalisi, basta ricordare come sono sempre interpretate le stranezze di una persona, tra il serio e il faceto: sei caduto dal seggiolone da piccolo? Saggezza popolare.
C’è da dire che una tale ghiottoneria si presta al rischio della prolissità e della ripetizione: al centesimo racconto – senza fantasia, con le stesse esatte parole come incise su un nastro magnetico - di quella volta che mi misi una pietra nel naso, viene da rifugiarsi in un’ambasciata straniera. Per non parlare del rischio “ricatto morale”, vera e propria arte marziale in cui, negli anni, i genitori si specializzano tanto da diventare abili come monaci shaolin. Fateci caso: quando raccontano di voi, i genitori perlopiù ricordano i guai che avete combinato, i problemi, perfino le figuracce. É kung-fu psicologico.
Il colpo della Gru di mia madre è: “Per farti rischiai di morire”. Ebbene si, pare io sia nato con grande spargimento di sangue e di parto cesareo, e certo ciò spiega alcune cose, già solo il fatto che mia madre ricorda poco di quel giorno, men che meno l’orario della mia nascita, e pertanto non saprò mai esattamente l’ascendente zodiacale. Così nascono i figli complessati. Non per l’ignoranza dell’ascendente (danno che pure non sottovaluterei), quanto per il peso morale difficile da reggere, specie se un tuo sacrosanto vaffanculo sta per partire verso tua madre come un tappo di spumante dalla bottiglia, ma poi la immagini in un lago di sangue e invece del tappo di spumante ti parte il tappo di vino, che fa fetecchia, si sa. Fortuna che i figli non da meno sviluppano tecniche di difesa, con colpi di varia intensità: “Mica è colpa mia”, “Hai fatto solo il tuo dovere”, “Dovevi pensarci prima”, e tirano avanti.
Ad ogni modo, ieri mia madre mi ha stupito con un nuovo aneddoto, mai raccontato (o sarebbe meglio dire “mai rinfacciato”). La dimenticanza si deve forse alla minuzia dell’episodio (ma tante briciole fanno un pranzo) o all’impossibilità di farne un uso contundente. Dovete sapere che dalla nascita ho un lieve rossore sulla fronte, nello spazio compreso tra le sopracciglia ai lati e il naso in basso. Insomma, dove per gli Induisti c’è il Terzo Occhio (e anche questo significherà qualcosa…). Nella vulgata popolare e nella convinzione di mia madre, è una “voglia”. Ma ecco il colpo di scena: ho sempre creduto che fosse di fragola, invece mia madre ha precisato che è di fico d’India. Minuzia? Mica tanto. Immaginatevi voi, dopo aver passato 38 anni a specchiarvi convinti di avere quel dolce, piccolo, romantico frutto sul Terzo Occhio, scoprire che era uno spinoso, selvatico e semoso fico d’India!
Sei in: Home -> Post: Ti guardi allo specchio e non sei più tu (tra le sopracciglia)
2008-09-05
Ti guardi allo specchio e non sei più tu (tra le sopracciglia)
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
4 commenti:
Sempre meglio di una voglia di banana,chè altro che terzo occhio,avresti avuto un unicorno!!!(poli)
Sempre meglio di una voglia di banana,chè altro che terzo occhio,avresti avuto un unicorno!!!(poli)
Ehhhhhhh...piano a far battute che contengano le parole "voglia" e "banana"... ;)
Ma dai!!!Già ti vedo con la paglietta tagliata e la giacchetta stretta come nei migliori spettacoli di avanspettacolo.O dietro Sordi e Vitti con il gonnellino e la collana di fiori a cantare:"Ma ndò vai se la banana non ce l'hai......"(l'incartatrice)