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2008-09-18

Kung Fu Panda, Damien Hirst e la Carrà

Sono appena rincasato dal cinema, ho visto Kung Fu Panda con mio nipote. Un osservatore distratto avrebbe potuto credere che accompagnassi il ragazzino, in verità è stato il contrario. Per me l'animazione digitale, specie se accompagnata da uno straccio di sceneggiatura decente, è la vera arte pop del nuovo secolo. Breve recensione: perfezione formale, risate convinte, in certi punti a scena aperta, nemmeno un'ombra di volgarità, buona morale di fondo. Ha meritato il biglietto. Persino mio nipote si è divertito, e dire che inizia ad essere nell'età degli antagonismi e dei disincanti.
Kun Fu Panda e tutti i film affini meriterebbero di avere un posto nell'arte contemporanea, ma ci riuscirebbero forse solo se Damien Hirst tagliasse il panda a metà e lo mettesse sotto formaldeide. Mentre chi potrebbe sembrare a pieno titolo un'opera di Damien Hirst, per la precisione il teschio tempestato di diamanti, è la Carrà avvolta nel solito vestito lamé su Rai Uno, che tengo in sottofondo e se non sapessi che siamo più o meno a metà settembre dell'anno del Signore 2008, penserei di dover quasi andare a nanna, che domani ho scuola. Ma la verità è che son venute le rughe a lei, a me e persino allo schermo, mentre lo show è come una mucca di Hirst tirata fuori della teca. Magari per diventare pure un maestro di kung fu, deve pensare qualcuno in Rai.

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